Ritengo davvero surreale prendere in considerazione le farneticanti “accuse” ripetutamente rivoltemi in questi mesi secondo le quali, dietro la scelta di non includere i quartieri Bagnoli- Pianura dalle aree a “rischio vulcanico” del DDL “Programma straordinario di interventi per la mitigazione del rischio vulcanico e urgenti misure per la pianificazione di Protezione civile nell’area flegrea e vesuviana” (che ho curato su richiesta di Bartolomeo Pepe) ci sarebbe una sorta di sfregio nei confronti delle popolazioni lì residenti o, addirittura, la voglia di togliermi di torno, con una improvvisa eruzione, attivisti Cinque Stelle a me particolarmente antipatici residenti in quei quartieri.
Mi trovo costretto a farlo in quanto, dopo innumerevoli post su Facebook , ieri si è arrivati addirittura a chiedere, con un davvero sbalorditivo “appello”, incredibilmente ospitato sul Meetup del Movimento Cinque Stelle di Napoli, allo staff di Grillo e al Capo Gruppo al Senato, la sospensione del DDL che, proprio oggi, dopo un dibattito sul portale LEX durato 60 giorni e che ha visto 270 interventi (tutti attentamente analizzati per essere, eventualmente, trasformati in emendamenti) si avvia alla sua stesura definitiva e quindi alla consegna alla Commissione competente.
Prima di affrontare il merito del DDL (e delle “accuse”), qualcosa sul metodo che è stato usato per far sì che divenisse patrimonio e momento di discussione e approfondimento di tutto il Movimento Cinque Stelle. Un processo cominciato nel febbraio 2013 con il convegno “Attività umane e sicurezza delle aree urbane” – nel quale è stata presentata la primissima bozza del DDL – e che è proseguito per un anno con davvero tante riunioni (tutte ampiamente pubblicizzate su internet e nelle quali, tra i tanti attivisti Cinque Stelle che erano lì presenti, non ho mai visto i miei attuali “detrattori”), con la creazione del sito internet http://viveretraivulcani.wordpress.com/ con la redazione di ben tre successive bozze del DDL veicolate via mail, su Facebook ed innumerevoli opuscoli.
A gennaio di quest’anno, con l’inserimento della bozza del DDL nel nostro Portale LEX, dopo aver prodotto e messo in Rete un videoclip per invitare gli Attivisti Cinque Stelle ad emendare il testo sul Portale, ho organizzato un Gruppo di Lavoro che, in varie riunioni (verbalizzate nel sito) ha contribuito a trasformare i suggerimenti posti su LEX in emendamenti al DDL. Ovviamente, neanche a questo Gruppo di Lavoro (nonostante fossero stati da me pubblicamente e ripetutamente invitati) hanno ritenuto partecipare i detrattori di cui sopra. Salvo poi lamentarsi nel loro “appello” pubblicato sul Meetup che la loro obiezione al DDL, nonostante fosse stata (a loro dire) votata da numerosi iscritti al Portale, oggi risulta “stranamente molto indietro in classifica”.
Insinuando, evidentemente, che abbiamo (io e Bartolomeo Pepe?) oltre alla velleità di ordire chissà quali congiura vulcanica per far fuori Attivisti Cinque Stelle, anche la possibilità di manipolare i server della Casaleggio che – come è noto – gestisce il Portale LEX.
In realtà il metodo che è stato instaurato per garantire una ampia partecipazione degli Attivisti Cinque Stelle al miglioramento del DDL ha dato i suoi frutti e oggi la nuova versione definitiva contempla interessanti novità riportate nella Relazione di chiusuradella discussione che invito a leggere.
Chiusa la questione del metodo, occupiamoci (ancora una volta!) del merito delle “accuse” e cioè del perché non siano stati inclusi nella prima stesura del DDL alcuni quartieri napoletani nelle aree “a rischio vulcanico” contemplate nel DDL del Movimento Cinque Stelle.
Ma, prima della predica, due parole sul pulpito. Sono quasi trent’anni che mi occupo, per lavoro, di pianificazione delle emergenze, soprattutto vulcaniche; anche per conto dell’ONU (a Ginevra, dove ho lavorato per mesi) e della Comunità Europea (che mi ha mandato nelle Azzorre e nei Caraibi a studiarle). Chi volesse saperne di più può annoiarsi dando una occhiata al mio sito “professionale” www.disastermanagement.it che (spero, mi sarà dato atto), nonostante la mia vanagloria, non ho mai sbandierato all’interno del Movimento Cinque Stelle.
Se si ha la pazienza di sfogliare i testi lì riportati si scoprirà che in Italia (come in altri Paesi) la categoria di “aree a rischio” ha riguardato, in maniera soddisfacente, finora solo due categorie: quelle a rischio sismico e quelle a rischio idraulico. Il perché si spiega con la natura dell’evento.
Ehm… Ci siete? O vi siete addormentati? Va beh, io continuo (comunque dura poco!)
La definizione di classi di rischio si basa, infatti, sostanzialmente sulla probabilità che un evento catastrofico possa determinarsi in un determinato lasso di tempo; ovviamente per definire questa probabilità c’è bisogno di una relativamente lunga serie di eventi, verificatesi in epoca storica (e che di cui si ha una descrizione attendibile), che permetta di stabilire degli indici. I terremoti e le alluvioni sono relativamente frequenti, e questo ha permesso, ad esempio, di definire le tre classi di rischio sismico codificate dall’INGV o le quattro classi di pericolosità, evento idraulico e idrogeologico, codificate dalle Autorità di Bacino. Non così le eruzioni verificatesi in epoca storica, ad eccezione di quelle dell’area etnea, vesuviana e di Stromboli.
Nascono così – con criteri certamente insoddisfacenti (come già evidenziato nella Relazione introduttiva alla prima stesura del DDL) – le “aree a rischio vulcanico”, identificate da precisi riferimenti normativi, come il recente DPCM che porta da 19 a 25 i comuni della “zona rossa” del Vesuvio: una sgangherata iniziativa (ma di questo ne parliamo un’altra volta, già temo di avervi annoiato a sufficienza) che mi auguro vedrà l’opposizione del Movimento Cinque Stelle.
Ma parliamo dell’area flegrea. L’unica eruzione qui verificatasi in epoca storica (oltre a un marginale evento alla Solfatara nel 1198) è quella di Monte Nuovo del 1538, che fece pochi danni circoscritti. L’interpretazione di dati stratigrafici ha permesso, comunque di identificare almeno due eventi catastrofici nati nell’area dei Campi Flegrei: uno verificatosi circa 40.000 anni fa che ha distrutto, tutto il territorio della Campania e di parte del Lazio; un altro (15.000 anni fa) leggermente meno distruttivo.
Altri studi hanno, addirittura, attestato la catastrofica risalita di magma in quello che è oggi il Centro di Napoli, ad Agnano, a Bagnoli, al largo di Ischia… Insomma, più si cerca e più si trova. Nascono da indagini come queste scenari eruttivi, come quelli riportati in documenti ufficiali (Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile) che prospettano in caso di emergenza vulcanica nell’area flegrea l’evacuazione di quartieri napoletani quali Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Posillipo, Vomero… (anche se, stranamente, da Attivisti di quest’ultimo quartiere, notoriamente polemici contro Bartolomeo Pepe e, quindi, contro di me, non si sono levate critiche al DDL).
Ora di fronte ad indeterminatezze come queste, cosa deve fare un movimento politico che vuole occuparsi di pianificazione dell’emergenza vulcanica e, quindi, anche di un programma di diradamento urbanistico e antropico di aree a rischio vulcanico? Scegliersi, tra i tantissimi, lo scenario eruttivo che più lo aggrada (magari per “rispondere” alle richieste di qualche suo strampalato attivista)? O attenersi alle indicazioni ufficiali che identificano, per il momento, (ma per la fine di marzo ne sarà annunciata una nuova) per l’area area flegrea “solo” cinque comuni?
Tra l’altro, se i detrattori del DDL si fossero presi la briga di partecipare al Gruppo di Lavoro, o solo di leggere, la suddetta Relazione conclusiva, si sarebbero, probabilmente, resi conto che tra le integrazioni apportate alla stesura iniziale del DDL c’è il comma 3 dell’art. 1 che affida all’Ufficio speciale per il Piano Vesuvio e Piano Campi Flegrei l’eventuale “riformulazione dell’elenco dei Comuni ad elevato rischio vulcanico”.
E questo anche per evitare situazioni come quelle che hanno caratterizzato la Campania quando, in assenza di un preciso ufficio preposto alla emergenza, l’”area del cratere” del terremoto del 23 novembre 1980 – grazie a clientele e accordi sottobanco – fu estesa a dismisura, sottraendo così risorse finanziarie ai comuni “veramente” colpiti dal sisma.
Non credo debba essere questo lo stile di lavoro del Movimento Cinque Stelle.
(articolo già pubblicato nel 2014 nel sito http://pecorarossa.tumblr.com/