Ma, il canto “Bella Ciao” è stato mai cantato dai Partigiani? Viene la voglia di porre questa domanda davanti ad una “sinistra” alla canna del gas che, usando questo inno a mo’ di esorcismo, si rifugia in un “antifascismo postumo” che si direbbe dettato da Repubblica e dai poteri forti.
Ma andiamo per ordine.
Secondo l’autorevole Wikipedia, questo canto “diventato celeberrimo dopo la Resistenza perché fu idealmente associato al movimento partigiano italiano” (…) “fu poco cantato durante la guerra partigiana”. E perché mai un canto così coinvolgente veniva cantato “poco” durante la guerra partigiana? Forse perché la canzone più nota e più importante nella lotta italiana di Liberazione era “Fischia il vento”, trascrizione della canzone russa Katjuša. Nel 1955, il PCI, verosimilmente, per cancellare ogni connotazione “sovietica” e, quindi, di classe alla Resistenza, evidenziati, in “Fischia il vento”, da strofe inneggianti al “sol dell’avvenire” e alla “rossa bandiera”, impone – sull’aria di quello che, forse, era un canto di lavoro delle mondine o, addirittura, una melodia yddish, – le attuali parole (probabilmente scritte da Vasco Scansiani) di “Bella Ciao”, consacrato come “il canto della Resistenza” al Festival di Spoleto nel 1964.
Una furia iconoclasta o, addirittura anti-anti-fascista dietro questo articolo? Assolutamente no. Una “tradizione”, anche se inventata, può diventare un valido punto di riferimento morale e politico. Non è questo il caso dell’attuale “antifascismo” – veicolato da “Bella Ciao” – che si direbbe, ormai, l’unico “valore” di una “sinistra” condannata all’estinzione.
Molto meglio il canto qui sotto.
Francesco Santoianni