Ma cosa, davvero, è successo il 7 ottobre al confine della Striscia di Gaza? L’analisi delle stridenti contraddizioni nella versione ufficiale, subitaneamente evidenziate in Italia da Manlio Dinucci o Masssimo Mazzucco, si direbbe non abbia fatto maturare significativi ripensamenti neanche nella “sinistra antagonista” che, anzi, ha finito per bollarla come becero “complottismo” ostinandosi a presentare l’incursione di Hamas (e, pare, di altre milizie) come l’avvio di una “insurrezione” palestinese.
Ma soffermiamoci brevemente su alcune delle tante contraddizioni che costellano la versione ufficiale sull’attacco del 7 ottobre. Il primo che le ha evidenziate è stato il quotidiano israeliano Haaretz che segnalava la sospetta inerzia dei servizi di sicurezza israeliani di fronte a segnalazioni di imminenti attacchi provenienti da Gaza e la sbalorditiva “inefficienza” della risposta israeliana (ad esempio, l’invio sul luogo, dopo ben cinque ore, della sola Polizia) che ha permesso il rapimento di centinaia di ostaggi tra i giovani che affollavano un rave party; rave party ubicato “a sorpresa” (l’ubicazione, secondo il Washington Post, era stata comunicata ai partecipanti solo poche ore prima dell’inizio della kermesse) in un area considerata pericolosa per via dei periodici razzi di Hamas. Poi ci sarebbero tanti altri episodi (ad esempio, come hanno fatto centinaia di miliziani a rompere indisturbati la recinzione di Gaza) per i quali, ancora oggi, non c’è nessuna spiegazione ufficiale come dimostra il subitaneo ritiro da parte di Netanyahu di un post nel quale si mettevano sotto accusa i servizi di sicurezza e i vertici dell’esercito.
Nonostante ciò e nonostante sia noto da anni l’utilizzo di Hamas da parte dei governi di Israele stenta ad affermarsi l’ipotesi che il 7 ottobre possa essere stato un altro 11 settembre o un’altra Pearl Harbour , e cioè una strage favorita da settori del Deep State, in questo caso per spazzare via due milioni di palestinesi da Gaza e potere così meglio sfruttare il colossale giacimento di gas che sorge davanti alle sue coste. Perché questa preclusione ideologica? Verosimilmente, perché si ritiene che avanzare questa ipotesi possa compromettere la campagna di solidarietà alla resistenza palestinese. È un grave errore politico anche perché questo silenzio impedisce che aprano gli occhi i tanti democratici israeliani che per quaranta settimane sono scesi in piazza contro Netanyahu e che ora, con un governo di “unità nazionale” sono costretti a stringersi intorno a lui. Per non parlare delle comunità ebraiche, presenti anche in Italia, che potrebbero così scoprire che i loro morti li ha uccisi il Sionismo.
Francesco Santoianni