Testo tratto dal libro “Fake news: come smascherarle”
Il più grande successo dell’operazione culturale e mediatica, portata avanti con Armi di distrazione di massa e Fake news è il far credere nella fine delle ideologie. Ma, visto che chiunque si impegna nel miglioramento della società (fosse pure perché abbindolato da una delle tante Armi di distrazione di massa) finisce inevitabilmente per farlo in nome di una ideologia, si è provveduto – soprattutto in Italia dove la scomparsa dei partiti (prodotta dall’ancora oggi oscura operazione “Mani pulite”) è stata pressoché totale – a creare una nuova, impalpabile, ideologia – la Sinistra – spesso attestata da un canto che marchia le mobilitazioni (purtroppo di massa) dettate dai media mainstream: “Bella Ciao”.
Intanto una precisazione: il canto “Bella Ciao”, che, comunemente, si ritiene sia l’inno della Resistenza, non è stato mai cantato dai partigiani essendo stato composto, (probabilmente da Vasco Scansiani) negli anni “50 e consacrato come “canzone dei partigiani” al Festival di Spoleto nel 1964. Perché questo destino? In realtà la canzone più nota e più importante nella lotta italiana di Liberazione è stata “Fischia il vento”, trascrizione della canzone russa Katjuša. Ma le sue parole, inneggianti al “sol dell’avvenire” e alla “rossa bandiera”, mal si prestavano al progetto del Partito comunista di utilizzare come collante l’antifascismo e la Resistenza per creare quello che, negli anni “60 si chiamava Arco Costituzionale inglobante la Democrazia Cristiana (sfociato, come è noto, nella fusione DC-PC). Si pensò, quindi, di utilizzare il canto “Bella Ciao” (privo di qualsiasi ideologia, tranne il riferimento ad una generica “libertà”) per concludere manifestazioni sindacali e politiche “unitarie”. Canto, tra l’altro, oggi diventato una sorta di “esorcismo antifascista” per rintuzzare manifestazioni (ad esempio, quelle contro una indiscriminata accoglienza degli stranieri) che quasi mai fanno riferimento al ventennio fascista.
Parallelamente a questo snaturamento delle connotazioni ideologiche che avevano caratterizzato le mobilitazioni popolari contro il fascismo e contro la guerra, cominciò la creazione di una ideologia, oggi dominante: la Sinistra.
Questo termine, nonostante quello che comunemente si pensa, non connotava i pur numerosi partiti comunisti, socialisti, socialdemocratici del passato; mentre lo stesso posizionamento di Karl Marx tra gli “hegeliani di sinistra” è da far risalire ad un tale David Strauss che, nel 1837, in seguito alle polemiche suscitate dalla sua opera “Vita di Gesù” (pubblicata nel 1835), rifacendosi agli schieramenti politici che si fronteggiavano nel parlamento francese, intruppò Marx nella “sinistra hegeliana”. Posizionamento certamente non gradito a Marx il quale, in suoi scritti del 1843 e del 1845, mise alla berlina i cosiddetti “hegeliani di sinistra”.
Si, ma perché destra-sinistra nel parlamento francese? Molti credono di saperlo, ma ignorano l’essenziale. Come è noto, questa faccenda cominciò nel maggio 1789 quando furono convocati in assemblea, dal Re di Francia negli Stati Generali, i rappresentanti del clero, della nobiltà e del “terzo Stato”, (questi ultimi, i soli che pagavano le tasse). Chi “decise” (pare, perché i posti alla sua destra, più vicini alla porta, erano stati già occupati dai rappresentanti della nobiltà e del clero, entrati prima) che il terzo Stato dovesse sedersi a sinistra del Presidente dell’assemblea fu uno dei suoi leader: l’”aristocratico liberale” Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau; un mese dopo, nella Assemblea nazionale, stesso posizionamento: a destra i fautori del Re, a sinistra molti tra coloro che diedero vita alla Rivoluzione francese.
Morto nel 1791, la salma di Riqueti de Mirabeau, glorificato come “Père de la Gauche” (“Padre della Sinistra”), venne inumata con tutti gli onori nel Pantheon di Parigi, ma il 12 settembre 1794, alla chetichella, fu trasportata nel periferico cimitero di Sainte-Geneviève, poi venne gettata in una fogna. La scoperta di alcuni documenti, infatti, avevano rivelato che Riqueti de Mirabeau, era stato al soldo del Re al quale, sperando in una nomina a ministro, aveva, addirittura, segnalato chi imprigionare. Ci si sarebbe aspettato che con questo “padre” il termine Gauche finisse in soffitta. Così non fu, in quanto cinque anni costellati da assemblee e sommosse, che vedevano un emblema di radicalismo nella “Gauche”, avevano dato vita ad una tradizione.
Non ci sarebbe nulla di sorprendente (in fondo anche il “pugno chiuso” o la “falce e martello” hanno una storia curiosa, che invito a cercare in linkografia) se non fosse che il termine “Left” cominciò, – in Gran Bretagna, qualche anno dopo – a caratterizzare un’ala del partito Whig, composto, fondamentalmente, da famelici imprenditori (ma, oggi, curiosamente classificato su Wikipedia come partito di “centro-centrosinistra” o “di sinistra”). Si. ma perché questo gruppo sentì l’esigenza di richiamarsi ad un termine che riecheggiava la Rivoluzione francese? Sostanzialmente per evidenziare la sua corsa verso il “Progresso”, il suo distacco da una borghesia che appariva ancorata all’immobilismo dell’ancien régime.
La progressiva acquisizione del termine “sinistra” (che rimaneva estraneo al nascente movimento proletario e socialista) da parte delle borghesie europee e americane fece nascere, ovviamente, l’esigenza di affibbiarvi una ideologia. In Italia, in mancanza di meglio, lo si accomunò al pensiero politico di Giuseppe Mazzini, che, a differenza del suo giurato nemico Karl Marx, vedeva nel “progresso” – garantito da un regime parlamentare e da un generale innalzamento morale e culturale – l’obiettivo da raggiungere. Nasce così l’altrimenti impresentabile “Sinistra storica” una ammucchiata di notabili che, nel 1876, ebbe il Governo con Agostino Depretis, artefice di uno sconcertante sistema clientelare, noto come “trasformismo”. Con questo sistema, in venti anni di governo, la “Sinistra storica” – oltre a realizzare alcune timide riforme e iniziative in campo salariale – spolpò (soprattutto nel Mezzogiorno) tutto quello che c’era da spolpare, condusse disastrose guerre coloniali, represse nel sangue moti di protesta arrivando, nel 1894, a sciogliere il Partito Socialista. Ancora più sconfortante il bilancio del Partito della estrema sinistra, nel 1877 costituito in gruppo parlamentare da Agostino Bertani. Animato da vaghe istanze sociali (sostanzialmente per arginare la crescita del Partito socialista) e dichiarandosi contro il “trasformismo” fu, sostanzialmente, comprato dalla Massoneria che lo fece spezzettare in gruppi e gruppetti. Si sciolse nel 1904 dando vita al Partito Radicale Italiano.
Con questi risultati, non c’è da meravigliarsi se il termine “sinistra”, nell’ambito del movimento operaio, fino al secondo dopoguerra, rimase in Italia pressoché sconosciuto, non comparendo – tanto per dirne una – in nessuno dei pur numerosi manifesti elettorali del Fronte Democratico Popolare del 1948. Ad imporre questo termine, nel 1948, fu uno sconcertante episodio: la proposta del PCI alla carica di Presidente della Repubblica dello screditatissimo (era già noto per il suo appoggio al fascismo e la sua vicinanza alla Mafia) Vittorio Emanuele Orlando, già leader della “Sinistra storica”. Perché l’appoggio di Togliatti ad un tale personaggio? Verosimilmente, perché, attraverso la rivalutazione di questo illustre esponente della “Sinistra storica”, il termine “sinistra”, più del termine “antifascismo”, poteva dare lustro a quel percorso di collaborazione di classe che il PCI stava intraprendendo. Fu così che il termine “sinistra” cominciò ad affiorare negli interventi parlamentari e nella pubblicistica del PCI. E a volerlo fu Togliatti il quale, sacrificando scranni in parlamento, destinati, altrimenti, ad esponenti dichiaratamente comunisti, creò il “Gruppo parlamentare della Sinistra indipendente” perpetuatosi – pur cambiando nome – dal 1948 al 1992 e che fece da battistrada al cambiamento di nome dello stesso PCI, trasformatosi, nel 1992 (poco dopo la caduta del Muro di Berlino), in Partito Democratico della Sinistra e nel 1998, in “Democratici di Sinistra”.
Nel 2007 la nascita del Partito Democratico permette ad una ormai consolidata “Sinistra” di assumere una “vita propria” formalmente sganciata dai partiti politici che può, quindi, apertamente criticare; e non già in nome di analisi di classe o di proposte politiche alternative, ma solo di precetti morali. Nascono così imponenti quanto vacue mobilitazioni contro Berlusconi che, essendo dirette da spocchiosi intellettuali, finiscono per cementare il primato della Cultura sulla Politica. La “Sinistra”, quindi, additando non come avversari politici ma come rozzi buzzurri coloro che dissentivano da essa, finì per aggregarsi intorno al quotidiano La Repubblica – da decenni “Vestale della Cultura” nel nostro Paese – e alle sue reazionarie campagne.
Nasce così un “Popolo della Sinistra” affollato anche da una “sinistra antagonista” che, prendendo come vere le fake raccontate su paesi come la Russia, la Cina, la Corea del Nord, Cuba… e privo di ogni strumento di analisi, non osa dichiararsi “comunista” o “socialista” ma pretende di espellere dal novero della “sinistra” personaggi ritenuti non degni di ammantarsi con questo termine, ad esempio Massimo D’Alema. E che – pienamente accettando l’atomizzazione in categorie di appartenenza imposta dalla cultura dominante – fa suo un “politically correct” che stravolge persino la grammatica (si veda il bizzarro uso degli asterischi per evitare che un termine debba essere “maschile” o “femminile”).
Ancora peggio, fa suo il contrasto all’”hate speech” (e cioè all’”incitamento all’odio”) che ha finito per bollare come “hate speech antisemita” ogni critica alla pulizia etnica condotta da Israele, “hate speech omofobo” ogni critica alla pratica dell’utero in affitto, “hate speech razzista” ogni critica alle politiche di contenimento dell’immigrazione… Hate speech che serve a procurare una percezione di pericolo; a «fare presto» in deroga alle cautele del diritto. Anche perché l’attribuzione dell’odio squalifica il presunto odiatore al rango di persona irrazionale, e quindi rende superflua la comprensione dei suoi moventi (che in ogni caso sarebbero inesistenti, pretestuosi, patologici o dettati dall’ignoranza), e quindi lo esclude giustificatamente dal diritto di manifestare il proprio pensiero.
Il contrasto all’hate speech – invocato anche da Amnesty International, ritenuta universalmente paladina della “libertà di opinione”- è stato, quindi, recepito dal Parlamento europeo – Risoluzione del 19 giugno 2020 – e, in Italia, dal continuo inserimento nuove categorie di “odiatori” da punire con multe o reclusione”, dalla Legge 205/1993 “Legge Mancino”. Contrasto all’hate speech che si direbbe essere il contraltare del crescente pubblico disprezzo verso coloro che non sposano i valori dell’Occidente.
Esemplare a tal riguardo le imponenti mobilitazioni seguite alla strage alla redazione di Charlie Hebdo tutte improntate all’incondizionato appoggio a questo “giornale satirico” che delle ingiurie alla religione mussulmana aveva fatto la sua bandiera. Ancora peggio le reazioni dell’opinione pubblica davanti alle dichiarazioni di Macron che dopo aver armato jihādisti (i quali in trincerandosi dietro il Corano commettono crimini orrendi) ha avuto la spudoratezza, in un suo discorso tenuto in Libano nel settembre 2020, di inneggiare al “diritto alla blasfemia”.
Con il prevedibile risultato di esasperare la comunità mussulmana dimorante in Francia che ha visto il repentino emergere di posizioni radicali, tradottesi anche in fenomeni di intolleranza, soprattutto contro gli ebrei. Questo ha dato la stura ad una campagna “contro il dilagante antisemitismo” (in realtà, di appoggio alla pulizia etnica di Israele) che ha visto una repressione contro attivisti BDS e una impennata della censura sui social.
Francesco Santoianni